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Salviamo la Cina con la moda sostenibile
Web Fashion Academy • 07 gennaio, 2017





Fiumi tossici, inquinamento a livelli cancerogeni, esagerata carenza d'acqua; l'industria tessile e dell'abbigliamento in Cina deve affrontare un grande lavoro. Fortunatamente l'azione internazionale per l'ambiente è  in atto in modo crescente, così accade che, come la moda globale in generale, anche la Cina ne cominci a subire le conseguenti trasformazioni.

Not Just a Label esamina perchè e quali miglioramenti sono stati fatti qui, nel più grande centro di produzione di abbigliamento del mondo e incontra i nuovi designer, nella volontà di voler ridefinire il Made in China. Sarà anche un gigante finanziario, ma dietro l'influenza globale della Cina esiste e cresce una pericolosa fragilità ecologica.

Dopo aver seguito un programma economico, in gran parte pro-capitalista, basato sull'industrializzazione e l'espansione radicale sin dalla fine degli anni Settanta, la Cina è ora la seconda economia più grande del mondo e mira a divenire la più grande entro il 2030.

Eppure 16 delle 20 città più inquinate del mondo si trovano in questo paese, il 60% delle acque sotterranee sono inquinate e ormai più di un quarto dei suoi fiumi principali sono inadatti al contatto umano.

Essendo il principale esportatore mondiale di prodotti tessili e di abbigliamento -merci che per essere prodotte hanno bisogno di tanta energia- è chiaro che la Cina negli abusi ambientali gioca il ruolo chiave. Secondo Greenpeace Asia orientale, l'industria tessile del Paese da solo è responsabile del 10% delle emissioni di acque reflue industriali contenenti 72 sostanze chimiche tossiche e tutte provenienti dalla tintura tessile. Il detto locale vuole infatti dire che si possa dire quale sarà il colore di moda la prossima stagione guardando il colore dei fiumi.





Oltre a questo, le fabbriche tessili producono circa tre miliardi di tonnellate di fuliggine ogni anno. Quando Pechino sperimentò un attacco prolungato di smog nel 2013, fu soprannominata la "airpocalypse" per le sue concentrazioni di particelle pericolose superiori di oltre quaranta volte il livello considerato sicuro dall'organizzazione mondiale della sanità. Quello fu anche il momento in cui si concretizzò anche la prima vera diffusa protesta pubblica. 

"Le preoccupazioni per la salute e l'impatto ambientale sono comprensibilmente in aumento in Cina. In particolare dalle questioni per la qualità dell'aria e la sicurezza alimentare emerge quanto le famiglie e i residenti cinesi vivano l'inquinamento come una reale minaccia e quanto in loro, proprio per questo,  stia crescendo una maggiore  consapevolezza ambientale" dichiara Nitin Dani, direttore dell'organizzazione Iniziative Verdi basata a Shanghai.

"Guardando quanto sia aumentata la partecipazione ai nostri forum ambientali, si ha la conferma di quanto l'interesse all'argomento sia, negli ultimi anni, diventato davvero importante". Organizzazioni e gruppi indipendenti sono in prima linea per l'azione ambientale.

La Green Choice Alliance, una coalizione di organizzazioni non governative, ha spinto quasi 2000 fabbriche ad attuare azioni correttive attraverso il progetto Green Supply Chain. La campagna Detox di Greenpeace sfida le migliori marche a lavorare con i loro fornitori sulla eliminazione di tutte le sostanze chimiche pericolose sia sulla catena di approvvigionamento e sulla considerazione di un più lungo ciclo vitale dei prodotti.




"Grazie a queste azioni, si sta creando un livello di consapevolezza sulle sostanze chimiche e pericolose che è senza precedenti" dice Ada Kong manager della campagna per l'ambiente di Pechino.

"Pochi operatori erano a conoscenza dei reali danni che provocano all'ambiente e alle persone i prodotti chimici che scaricano nei fiumi".

Tuttavia ora le cose stanno cambiando velocemente infatti, l'azione più forte e drastica, costretta dall'opinione pubblica e dal rallentamento economico, sta provenendo direttamente dal governo, dai marchi e dai fornitori.

Dopo la promessa fatta nel 2014 dal premier Li Keqiang di "guerra all'inquinamento", il governo ha rafforzatola legge sulla protezione dell'ambiente della Cinaper la prima volta in 25 anni. Le multe della società colevolisono senza limiti e i responsabili in carica alle aziende inquinanti posso anche finire in carcere nell'inadempimento delle nuove regole.
Più di 600 miliardi di dollari sono stati impegnati per ripulire l'aria e le acque, mentre gli investimenti sulle fonti di energia rinnovabile, quasi inesistenti fino a sei anni fa, sono aumentati vertiginosamente.

"Nuove leggi ambientali hanno preso di mira aggressivamente l'industria tessile cinese", afferma Christina Dean, Fondatrice di Redress. Con sede a Hong Kong, l'Ong ambientalista ha testimoniato gli effetti di modifiche nel settore dell'abbigliamento in Cina per quasi 10 anni lavorando per ridurre gli sprechi nel campo dell'industria della moda. "Le tante aziende tessili della Cina che non possono gestire i cambiamenti - come l'aumento del prezzo dell'acqua, multe, chiusure, cause penali - sono di fronte a poche alternative ".

Dal gennaio 2014, 15000 fabbriche, tra cui le grandi imprese statali, hanno dovuto pubblicamente riferire costantemente dati in tempo reale sulle emissioni in atmosfera e sugli scarichi idrici.
Nel 2013 i codici relativi alla protezione ambientale delle acque reflue e dei gas di scarico sono stati implementati e sono divenuti molto vincolanti, come altre regole forti sono state adottate per le filature e le aziende di tintura e stampa. L'industria tessile e dell'abbigliamento sono anche al centro dei piani messi in atto dal governo sullo sviluppo dell'economia circolare e degli investimenti che riguardano le tecnologie per il riciclo.




Sotto il tredicesimo piano quinquennale del governo cinese per lo sviluppo economico e sociale, l'obbiettivo sarà quello di raggiungere i 4,5 milioni di tonnellate di tessile riciclato entro il 2020. 
Molti dei principali produttori cinesi hanno già messo in atto cambiamenti significativi. Il gruppo Esquel di Hong Kong, che produce oltre 100 milioni di capi all'anno per marchi tra cui Ralph Lauren, Tommy Hilfiger e Nike, ha investito in uno dei più grandi impianti di waterwaste della Cina.
Mentre il gruppo di cristallo Zhongshan Yida, che lavora con aziende come Levi Strauss, H&M e Gap, è diventato un modello per la produzione di jeans e denim sostenibile.
La sua azienda di cotone riciclato realizza un tessuto nuovo, fatto di resti di denim, che viene utilizzato per la produzione di eco jeans e jeans riciclati.

Il Natural Resources Defense Council ha portato anche importanti miglioramenti con il suo Clean by Design, un modello di produzione globale attuato con i principali rivenditori di moda e designer a della filiera verde della moda. Oltre 30 fabbriche tessili hanno drasticamente ridotto la loro produzione di inquinamento, con un taglio fino al 36% del consumo di acqua e il 22% del consumo di energia per l'eliminazione di un totale di almeno 400 tonnellate di sostanze chimiche.
"I fornitori migliori sono quelli che hanno rapporti di lungo termine con i marchi" puntualizza Kong.
Molti si trovano ad affrontare una crescente pressione da marchi attivi per l'ambiente come H&M , Levi Strauss, Marks & Spencer e Adidas. Ci sono guadagni per le aziende che ripuliscono la loro produzione di abbigliamento, come ad esempio, una maggiore efficienza, significativi risparmi finanziari e la fidelizzazione del consumatore. Putroppo la stragrande maggioranza delle marche High Street e del lusso stentano ad assumersi la piena responsabilità per le loro catene di approvvigionamento. Infatti migliaia di aziende stanno ora spostando le loro produzioni in altri paesi asiatici dove le leggi ambientali sono ancora poco rigide o per nulla esistenti.





Per fortuna esiste e cresce una nuova generazione di designers in Cina che stanno costituendo brands basati sui fondamenti della sostenibilità, condizioni di lavoro eque e azioni filantropiche".
"C'è un reale interesse per cogliere la sostenibilità come elemento chiave per l'ethos di un nuovo design", spiega Dean. Così come l'organizzazione di laboratori didattici, conferenze e collaborazioni con istituzioni accademiche che per sei anni Redress hanno consentito di ispirare i giovani designer per la trasformazione del futuro della moda attraverso il suo EcoChic Design Award. Il più grande concorso di progettazione sostenibile nel mondo che sfida i designer emergenti a ridurre gli scarti della moda è diventato il terreno fertile per l'innovazione sostenibile.
I partecipanti catturano l'attenzione dei media, da Vogue cinese fino al New York times, e ora il concorso è anche oggetto per un nuovo documentario.

Tale interesse coincide con una domanda che sta profondamente cambiando in Cina; una domanda guidata da aspirationals asiatici alla ricerca di stile e sostanza sui loghi e i grandi marchi. "Questa nuova generazione è alla ricerca di un maggiore individualismo che possa riflettere meglio la creatività della Cina ", spiega Dean. "Le storie di provenienza e trasparenza dietro le marche stanno diventando sempre più potenti come attrattori di interesse da parte dei consumatori finali".
Sono molto ben considerati i brand che concentrano il loro lavoro su materiali organici e Upcycling quali NEEMIC e FREITAG di Pechino o di quelli impegnati sullo slow fashion e sulla qualità senza tempo come ad esempio le labels Wan e Wong moda.
La realtà è che molti designer stanno reagendo alla moda, intesa come la cultura del prodotto in serie e veloce e vogliono invece ridare importanza a mestieri tradizionali cinesi, lavorando con gli artigiani. Atelier Rouge Pékin per esempio, aggiunge un tocco contemporaneo al semplice taglio delle  giacche Mao e ai modelli dei contadini colorati in modo tradizionale. Anche  il co-fondatore di NEEMIC Hans Martin Galliker ha avviato  partnership con sarti locali e utilizza tessuti biologici handwoven dalle comunità tradizionali in Cina.




Sharon de Lyster, a capo di Narrative Made, è d'accordo. "Ho visto in prima persona solo negli ultimi cinque anni quanti hanno abbandonato il patrimonio del loro mestiere pur di andare a lavorare nella catena di fornitura che sostiene l'attuale industria fast fashion. "Lei invece sta attualmente collaborando con artisti della plissettatura  a mano tradizionale del Miao e ricamatrici per preservare la loro eredità e anche aiutare gli altri marchi a rifornirsi da artigiani di tutta l'Asia.




Puntare sull'artigianato consente di avere un modello di produzione meno intensivo, che usa processi e materiali che hanno una scala di produzione più piccola, attuando un metodo che oltre ad essere socialmente responsabile è una soluzione sostenibile ai problemi ambientali della Cina. 

Il Paese ha una lunga strada da percorrere per invertire decenni di degrado ecologico, ma tra le nuove legislazioni del governo, cambiando l'opinione  pubblica e la mentalità dei consumatori e con l'azione dei marchi importanti, i miglioramenti sono in crescita spinti dall'innovazione e dalla creatività che si continuerà ad alimentare.
Come dice Dean, "è già in atto un cambiamento epocale e l'industria della moda in Cina - e quella del mondo - non saranno mai più le stesse".


https://www.notjustalabel.com/editorial/saving-china-with-sustainable-fashion

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